(m.m.) «A noi non risulta un contaminante rilevante disperso nell'aria atmosferica ma parte dello studio riguarda anche cento lavoratori, cento operatori della Miteni, soprattutto i 73 a diretto contatto con i reparti produttivi. Credo, da una parte, che questi siano soggetti da mettere in protezione immediatamente rispetto al resto della popolazione perché hanno un'esposizione chiaramente massiva e continuata nel tempo; dall'altra, questi soggetti rappresentano casi di studio fondamentali per riuscire a capire quali siano gli eventuali effetti sulla salute». Sono queste le parole usate da Raniero Guerra, Direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute, durante l'audizione del 6 luglio davanti la Commissione ecomafie. Oggetto della discussione? Il caso Pfas.
Durante la giornata di ieri infatti
i verbali della seduta sono stati messi a disposizione dei membri della commissione. Da quegli atti non si evince solo l'altissimo rischio cui sarebbero state sottoposte le maestranze della trissinese Miteni. Ma dallo stesso Guerra viene anche rimarcato il fatto che esistono forti rischi anche in relazione alla attuale produzione di Pfas oggi in carico: si tratta delle cosiddette sostanze a catena molecolare corta che secondo la società vicentina non pongono problemi. L'alto dirigente ministeriale però è di tutt'altro avviso allorquando parla di uno studio spagnolo il quale ha «dimostrato un accumulo di Pfas a catena corta in fegato, polmoni, ossa, rene e cervello su materiale autoptico derivato da una settantina di cadaveri. Anche in questo caso, quindi,
c'è un'evidenza crescente del problema, ma non ancora definitiva e, soprattutto, non dose-collegata. In questo caso, infatti, non ci viene ancora permesso di stabilire un nesso quantitativo e un valore soglia».
Nelle
36 pagine di verbalizzazione poi c'è un altro passaggio importante nel quale lo stesso Guerra parla dei timori sulla qualità dell'acqua potabile nonché sui cibi: «Tutta l'acqua generata e utilizzabile in loco deve essere trattata... Abbiamo con la regione Veneto raccomandato fortemente
di limitare l'approvvigionamento idrico da quelle zone: questo è ovvio. Ci preoccupa molto anche la questione relativa alla matrice alimentare. Ci sono delle evidenze sull'inquinamento delle uova di gabbiano fatte alla foce del Po, ma noi non mangiamo uova di gabbiano, per cui stiamo cercando di capire se questo tipo di contaminazione si estenda in maniera massiccia».