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sabato 25 febbraio 2017

Lo strano rogo ai Magazzini generali di Vicenza


É Angelo Covi l'imprenditore morto alcune ore fa nella notte tra il 24 e il 25 febbraio tra le braccia dei vigili del fuoco e della polizia mentre assisteva al rogo che aveva devastato il suo capannone nel complesso dei Magazzini Generali di Vicenza in zona Mercato Nuovo. Da quanto è filtrato dalla scena del dramma sembra che il cuore dell'uomo non abbia retto lo shock.

Ma che cosa c'era dentro quel capannone? Dalle prime indiscrezioni pare che il locale contenesse un corposo archivio cartaceo sul quale Covi, ex titolare della Cosmetica berica Albanevosa srl, avrebbe voluto fare affidamento per contestare punto su punto, anche con addebiti penali di natura personale, le circostanze che avevano obbligato l'impresa a fronteggiare lo spettro del fallimento. Nella vicenda fra l'altro si segnala una piccola curiosità.

Tra coloro che in passato hanno prestato la propria opera professionale a favore di Covi c'è Diego Xausa. Ex membro del collegio sindacale di Veneto Banca, come molti altri è finito invischiato nel vortice del collasso delle ex popolari venete. Al contempo Xausa era anche stato amministratore di Magazzini Generali. Una compagine a maggioranza pubblica che durante gli ultimi anni aveva affrontato una lenta agonia, condita anche da magagne penali nonché contabili e che oggi è al centro di un complesso risiko urbanistico.

E proprio Xausa peraltro aveva cercato di portare MG fuori da una serie di secche iniziate nei primi anni Duemila quando a Vicenza governava il centrodestra. Da quello che filtra in queste ore pare che vigili e forze dell'ordine non trascurino alcuna ipotesi investigativa ivi inclusa quella di un incendio doloso. E per chi si occuperà del caso sarà importante capire che cosa è andato a fuoco, se ci sono segni di effrazione e in caso di dolo se vi siano mandanti e con quali moventi.

lunedì 13 febbraio 2017

Pedemontana Veneta, buio al bivio

Non sono passati che pochi giorni da quel fatidico 19 gennaio quando Il Corriere del Veneto diede in dirittura d'arrivo un accordo tra tutte le parti in gioco per il futuro della Spv. «L'accordo sulla Pedemontana è chiuso» sanciva il quotidiano. In realtà si trattava di indiscrezioni, magari ben circostanziate, ma sempre indiscrezioni erano.

Poi il 25 gennaio sulla scrivania del governatore leghista del Veneto Luca Zaia è giunto un esposto al vetriolo della Sics. Una società di ingegneria che ha realizzato il primo progetto della superstrada e che ha gettato una luce fosca sul passato e sul presente non solo dell'opera: ma pure su Sis, il consorzio che fa riferimento alla famiglia Dogliani incaricato di realizzare la Spresiano-Montecchio Maggiore. Cento kilometri d'asfalto completati sì e no al 20% e con la spada di Damocle di un privato che non riesce a trovare sul mercato i finanziamenti per ultimare i lavori proprio perché i finanziatori reputano l'infrastruttura non ripagabile coi pedaggi. Alle critiche prsenti in quell'esposto (ne ha parlato per primo Vvox.it) che con ogni probabilità potrebbe interessare la magistratura Zaia non ha mai replicato: nessuna notizia nemmeno dalla stampa pur con qualche eccezione. Poi è lo stesso Corveneto mercoledì 8 febbraio a recitare un mezzo de profundis: «La strada doveva essere completata nel 2018. Se ce la fanno è perché lo Spirito santo è entrato in società».

A questo punto, tra le tante, rimane da capire quali strade percorrerà la Regione Veneto per uscire da questa impasse. Sempre che ve ne siano e sempre che siano rispettose della norma. Questi e altri scenari sono al centro di una analisi che oggi firmo per Vvox.it. L'argomento rimane bollente...

LEGGI IL SERVIZIO DI VVOX.IT

sabato 11 febbraio 2017

Pfas, Bratti controreplica a Regione Veneto e Miteni


Nelle ultime ore la relazione conclusiva della Commissione bicamerale ecomafie sul fenomeno Pfas ha scatenato una serie di reazioni molto critiche. C'è la presa di posizione di Antonio Nardone, amministratore delegato di Miteni, l'industria chimica vicentina accusata del maxi inquinamento. E c'è la Regione Veneto (guidata dal Carroccio), che pur per ragioni diverse, non condivide l'approccio adoperato dalla stessa commissione. Nella quale peraltro i membri leghisti hanno votato a favore di quel documento come il resto dei gruppi.

Tuttavia il deputato democratico Alessandro Bratti (in foto), presidente della Ecomafie, controreplica. E con una nota al vetriolo comparsa ieri sul suo blog spara a palle incatenate contro la Regione e contro la stessa Miteni: «Forse, piuttosto che creare una commissione regionale di inchiesta, che non potrebbe portare a conclusioni diverse da quelle assunte dalla Commissione parlamentare di inchiesta, con la differenza che non ha gli stessi poteri , sarebbe il caso di concentrarsi su un piano d'intervento serio ed efficace per evitare che la Miteni continui a inquinare il territorio... È questo il vero problema, non le indagini svolte a 360 gradi dalla Commissione parlamentare d'inchiesta, che hanno avuto il merito di raccogliere e sistematizzare le informazioni scientifiche disponibili, fornendo un contributo prezioso per la comprensione del fenomeno e la programmazione delle possibili soluzioni».

Nel dispaccio di Bratti: «Non c'è dubbio che il problema della presenza in elevate concentrazioni di Pfas non sia solo riscontrabile in Veneto. Ma è in questa Regione che Arpav ha individuato nell'azienda Miteni la principale responsabile dell'inquinamento esteso nelle falde idropotabili. Ed è per queste ragioni che la Commissione all'unanimità ha deciso di occuparsene. Nessuna quindi strumentalizzazione politica nei confronti del Veneto, Regione che presenta molte eccellenze nel ciclo dei rifiuti ma anche problemi seri di inquinamento e di legalità ambientale».

Guai mantovani per il re trevigiano delle cartiere


Una ex cartiera del gruppo Burgo è finita al centro di una querelle giudiziaria dagli esiti imprevedibili. Il caso, che presenta anche una nuance veneta, come racconta Il Fatto di oggi, è deflagrato a Mantova. Ed ha avuto origine in ragione di un dettagliato esposto alla procura locale da parte dell'ex consigliere comunale locale Sergio Ciliegi.

La vicenda principalmente ruota attorno al piano di rilancio della ex cartiera propugnato dal nuovo acquirente. Si tratta del gruppo trevigiano Pro-Gest il quale a sua volta fa riferimento al re del cartone della Marca Bruno Zago (in foto). Quest'ultimo è uno dei grandi soci di Veneto Banca e fa parte del club degli azionisti di primo livello che tentarono, invano, di mettere un piede nella cabina di controllo dell'istituto di Montebelluna in vista di un rilancio. Opzione poi naufragata con l'acquisto della banca da parte del Fondo Atlante.

A Mantova frattanto il livello della protesta sale. Il progetto propugnato da Zago, si legge sempre su Il Fatto, «è vincolato alla riattivazione di un inceneritore di rifiuti industriali dove si potranno bruciare anche quelli delle altre 22 cartiere del gruppo» ed è vincolato pure «all’avvio ex novo di una centrale a turbogas». Nell'esposto si fa riferimento, in particolare, «all'Autorizzazione integrata ambientale, Aia, trasferita da Burgo alla società Cartiere Villa Lagarina del gruppo trevigiano, senza passare dalla Valutazione di impatto ambientale».

venerdì 10 febbraio 2017

Perfluorati, la Miteni contesta le conclusioni della Commissione ecomafie

«Stiamo approfondendo i contenuti della relazione della commissione parlamentare ma già dalla prima lettura appare evidente che si tratta di un documento incompleto, privo di rigore scientifico che porta ad evidenti contraddizioni». Non usa mezze parole l'amministratore delegato della Miteni Antonio Nardone, l'industria chimica del Vicentino al centro del caso Pfas, per commentare la relazione della Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti. Una lunghissima relazione, quella della "Ecomafie", che in modo critico ha acceso i riflettori non solo sulla società ma pure sui provvedimenti adottati dalla Regione Veneto.

La spa di Trissino però non ci sta e contrattacca: «Nel documento viene ad esempio contestato a Miteni di non avere fornito i dati personali degli esami dei lavoratori nello studio del professore Giovanni Costa. Il motivo è semplice: la commissione non ha mai chiesto i dati all'azienda e nemmeno l'ha mai convocata. Dati che sono stati sempre forniti alle ULSS locali. Se la commissione li avesse richiesti, secondo le norme previste, li avrebbe ottenuti immediatamente visto peraltro che gli enti preposti già ne sono in possesso».

Nardone (in foto) muove poi un ultimo addebito: «La Commissione prima accusa ripetutamente Miteni di immettere nel torrente Poscola scarichi sopra i limiti, poi riconosce nello stesso documento che i limiti sono rispettati. I limiti di scarico nel Poscola sono infatti assolutamente rispettati e sono addirittura inferiori a quelli previsti per le acque potabili, come gli enti di controllo possono documentare».

giovedì 9 febbraio 2017

Caso Pfas: intervenga la procura generale


«Ad oggi non risulta all'esponente alcuna concreta attività di indagine» a seguito della richiesta di sequestro della Miteni inoltrata alla procura di Vicenza «in data 10 gennaio 2017». È questa in estrema sintesi la motivazione con cui Renza Pregnolato, legale rappresentante della associazione padovana «La Terra dei Pfas» ha chiesto stamani alla Procura generale di Venezia di avocare l'indagine sul maxi inquinamento da Pfas che sta interessando l'intero Veneto centrale e che viene condotta proprio dalla procura berica.

Il documento, che è stato controfirmato dall'avvocato patavino Giorgio Destro, legale dell'associazione, giunge in un momento delicatissimo. Ovvero a poche ore dalla pubblicazione da parte di Palazzo Madama e di Motecitorio dell'intero testo della relazione della Commissione parlamentare ecomafie in merito alla indagine conoscitiva proprio sul fenomeno dei derivati del fluoro, i Pfas, che stanno da anni avvelenando l'asta del fiume Agno-Guà-Fratta. «Noi abbiamo intenzione di proseguire sulla nostra strada per chiedere ad ognuno di fare fino in fondo quanto dovuto» ha spiegato oggi pomeriggio Destro che da tempo segue la querelle anche sul versante amministrativo in una col consulente Marina Lecis e con l'avvocato vicentino Edoardo Bortolotto (in foto a sinistra; al suo fianco Destro).

E la situazione è esplosiva non solo sul fronte degli accertamenti nonché delle contestazioni nei confronti di queste ultime. Ma lo è anche sul piano della stessa indagine conoscitiva conclusasi in parlamento ieri con la diffusione della relazione. Seconda quanto riporta l'Arena di Verona oggi in pagina 28 infatti i membri della commissione non avrebbero affatto apprezzato che i dati dello studio Miteni sulla salute dei dipendenti siano stati in qualche modo coperti. La trissinese Miteni è la industria chimica della Valle dell'Agno considerata da Arpav come principale fonte dell'inquinamento e oggi oggetto di una indagine penale. Per di più l'impossiblità di leggere questi dati sulla salute delle maestranze avrebbe messo in ambasce anche gli stessi lavoratori. Le polemiche peraltro proseguono dal week-end appena passato quando erano comitati e associazioni in tema di emergenza Pfas avevano criticato duramente la regione. Al riguardo tra l'altro ha preso posizione anche il senatore vicentino del M5S Enrico Cappelletti: «I governi nazionale e regionale non hanno fatto nulla per tutelare la salute dei cittadini - è riportato in una nota al vetriolo vergata dallo stesso senatore poco più di un'ora fa nella quale si fa presente che l'emergenza - è rimasta troppo a lungo sottovalutata».

martedì 7 febbraio 2017

Pfas e concia, i nodi al pettine

«Finalmente ci siamo: dopo mesi e mesi di lavoro, domani sarà pubblicata la relazione della Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti sui Pfas. Sostanze dal nome cacofonico che sono interferenti endocrini, in particolare del metabolismo dei grassi, e possibili cancerogeni. Hanno contaminato l'acqua potabile in un'area di almeno 180 km quadri abitata da oltre 300mila persone. E stanno causando una strage silenziosa, di cui ora ci sono le prove ma che continua imperterrita, nonostante le denunce e i dossier rimpallati tra le procure». È questo uno dei passaggi più importante che il senatore del M5S ha affidato al blog del movimento. Una riflessione che descrive lo stato d'animo di quanti in questi mesi hanno seguito da vicino una vicenda la quale è tutt'altro che esaurita. Le parole di Cappelletti peraltro giungono in un momento in cui sul tema dei temutissimi derivati del fluoro, i Pfas appunto, hanno alzato i toni gli attivisti di Legambiente che tre giorni fa a Cologna, hanno puntato l'indice contro la Regione Veneto soprattutto in ragione del duro attacco di Piergiorgio Boscagin (in foto) responsabile del circolo locale della associazione ecologista...

venerdì 3 febbraio 2017

Dal Mose alla Spv il j'accuse di Cozzolino

(m.m.) «Che il cosiddetto processo Mose si sarebbe tristemente avviato verso la prescrizione lo si era capito subito. La cosa era stata descritta con dovizia di dettaglio da alcuni osservatori molto attenti. La baldanza del procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio che solo pochi mesi fa vide come un buon risultato quel po' di patteggiamenti portati a casa dalle toghe in queste ultime ore viene clamorosamente smentita dai fatti di cronaca». È questo uno dei passaggi più sapidi di una breve nota diffusa stamani dal deputato veneziano dei Cinque stelle Emanuele Cozzolino.

Il dispaccio prende in esame le voci che da mesi parlano di un processo Mose inevitabilmente avviato verso la prescrizione.  «Molto si è detto - attacca ancora il deputato - dell'ex governatore azzurro del Veneto Giancarlo Galan, dei suoi sodali, nonché degli episodi più o meno di costume che hanno riguardato l'ex dominus del consorzio Venezia nuova Giovanni Mazzacurati in una con i suoi emuli colpiti dall'inchiesta. Ma poco o nulla si è detto dei vari gruppi Chiarotto, Cinque, Mazzi che hanno agito alle spalle. E soprattutto mai si è messo in discussione il sistema criminogeno che è alla base di tutto ciò, il quale ha un nome preciso: legge speciale su Venezia. Un provvedimento che non sembra tanto il frutto del legislatore quanto lo schema di una associazione a delinquere».

Parole durissime cui seguono altre ugualmente dure, stavolta nei confronti di alcuni settori del mondo giudiziario: «Sulla magistratura ricadranno per sempre una serie di responsabilità innegabili. Oggi si parla di prescrizione ma è dal 2007 che il magistrato della Corte dei conti Antonio Mezzera da Roma denuncia le anomalie del Mose. Perché le inchieste son partite così tardi? Quali e quante pressioni sono state fatte sugli inquirenti veneziani?».

L'onorevole del M5S (in foto) tira poi in ballo un parallelismo tranchant tra affaire Mose e altre grandi commesse venete: «Mezzera fra l'altro è il magistrato erariale che ha acceso i riflettori su un altro scempio, quel Mose di terraferma che porta il nome di Pedemontana Veneta. Quanti anni e quanti quintali di esposti ci vorranno prima che la procura di Venezia apra un fascicolo degno di questo nome sulla Spv? Quando e se le indagini saranno istruite ci lamenteremo ancora della prescrizione? Oppure è arrivato il momento di dire che la prescrizione altro non è che una scusa con cui un pezzo dello Stato, anzi dell'establishment, si autoimmunizza dalla legge facendo strame dello stato di diritto?»